Durante la Guerra fredda, negli anni in cui i governi d’Italia e d’Albania riducevano ai minimi storici i loro contatti formali, la «Sinistra italiana» fu erede, custode e prosecutrice dell’inesauribile legame italo-albanese.
[...] Se l’antifascismo non bastò ad appianare due visioni antitetiche del mondo comunista – quella monocentrica di un dittatore dell’Est, quella policentrica di Togliatti, fautore della «via nazionale» – lo stalinismo a oltranza rivendicato da Enver Hoxha trasformò l’Albania in un laboratorio politico visitabile. Dalla fine degli anni Sessanta, i movimenti marxisti-leninisti coagulatisi intorno alla sinistra del PCI «revisionista» cercarono di appropriarsi della narrazione italo-albanese, recuperando il comune ricordo resistenziale e promuovendo il parallelo Cina-Albania. Dagli archivi di Tirana emerge così un aspetto inedito dell’Albania Popolare: ovvero la sua «apertura». Forti di una solida base documentaria, queste pagine raccontano una dimenticata storia italo-albanese, per ribellarsi al vuoto di memoria che ancora vige tra l’«Albania del Regno» e l’«Albania dei migranti». Nicola Pedrazzi (Bologna, 1986) è ricercatore presso l’Osservatorio Balcani e Caucaso Transeuropa (OBCT). Per conto dell’Università di Pavia ha svolto tre anni di ricerca dottorale a Tirana, dove ha collaborato con l’Istituto italiano di Cultura e l’Ambasciata d’Italia. Giornalista pubblicista, ha scritto e scrive per diverse testate, tra cui «il Mulino», «Kosovo 2.0», «Riforma», «Confronti» e lo stesso OBCT.
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